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Il costo invisibile del tempo di inserimento (e come ridurlo)

• 6 min read

Domanda a bruciapelo: secondo te, quanto vale un onboarding efficace?

Rispondere non è facile: tutto dipende dalla definizione che si dà  al termine “valore”. Comunque, a prescindere dalle cifre che si possono calcolare, una procedura di onboarding efficace vale molto di più di quanto si possa pensare.

Professionista L&D che cerca di calcolare il ROI del suo processo di onboarding.

Analizziamo più nel dettaglio il funzionamento.

Innanzitutto, le prime impressioni di un neoassunto si formano in base a quanto avviene  nel suo primo giorno o nella sua prima settimana di lavoro. Ciò significa che un’esperienza di onboarding inadeguata può generare tassi di retention inferiori e ridimensionare la cultura aziendale. E questo è un guaio.

Inoltre, un onboarding inadeguato rallenta l’acquisizione delle competenze. I nuovi assunti impiegheranno più tempo ad ambientarsi nel loro ruolo. Basti pensare a quanto devono faticare i responsabili delle assunzioni per negoziare le date di decorrenza del contratto e a quanto sia importante riuscire a coprire rapidamente ruoli di primaria importanza. Alzare l’asticella della qualità del processo di onboarding è un modo per riuscire ad anticipare la data di inizio del lavoro per un nuovo dipendente, che potrà “partire in quarta” e iniziare prima a dare un utile contributo.

Tuttavia, secondo un sondaggio Gallup, solo il 12% dei dipendenti concorda sul fatto che la propria organizzazione stia facendo un ottimo lavoro nell’inserimento di nuovi dipendenti. E dopo aver completato il processo di onboarding, solo il 29% dei neoassunti si sente pienamente preparato per eccellere nel nuovo ruolo.

Oltre a non investire a sufficienza nel programma di onboarding, la maggior parte delle organizzazioni sottovaluta notevolmente il ruolo che il tempo di inserimento dei dipendenti gioca nelle performance aziendali.

Di fatto il processo di onboarding dei dipendenti ha un impatto enorme sul raggiungimento degli obiettivi aziendali. Riuscendo a migliorarlo, si possono ridurre i tempi di inserimento e ottenere significativi vantaggi in termini di performance. In questo articolo esamineremo i tempi di onboarding e di inserimento, spiegheremo in che modo sono correlati, perché sono importanti e come si possono gestire entrambi al meglio  attraverso un solido processo di onboarding dei nuovi dipendenti.

Il tempo di inserimento ha un impatto sui neoassunti, e anche sui tuoi profitti

I nuovi dipendenti hanno bisogno di tempo per entrare a regime. Questo lasso di tempo sarà diverso a seconda del ruolo e dell’individuo. Ad esempio, secondo una ricerca di Bridge Group, occorrono circa tre mesi ai membri del team di vendita per l’inserimento e l’avviamento. Ecco perché la misura standard del tempo di inserimento nella divisione vendite è di 90 giorni, ai quali va aggiunta la durata del ciclo di vendita.

Facciamo un esempio concreto. Immagina di assumere un account executive o responsabile vendite che deve raggiungere una quota annua di 500.000 dollari. Dimezzare il suo tempo di inserimento equivarrebbe a oltre 60.000 dollari di entrate per ogni venditore assunto. Si tratta di un notevole ritorno su un investimento che conviene fare.

Un responsabile vendite dopo aver visto l’impatto della riduzione dei tempi di inserimento.

Oltre le performance

La ricerca di Bridge Group ha rilevato che un venditore impiega circa tre mesi per completare la fase di avviamento. La ricerca di Gallup stima invece un periodo di onboarding di 12 mesi prima che un neoassunto raggiunga il suo pieno potenziale di performance.

Come mai questa discrepanza?

Entrambe le statistiche, in un certo senso, sono corrette. Dipende tutto dalla definizione che si dà delle parole “onboarding”, “potenziale” e “fase di avviamento”.

È possibile che un venditore riesca a raggiungere tutti gli obiettivi in 90 giorni? Sì. Ma che dire di altri aspetti dell’onboarding dei dipendenti, come ad esempio il modo in cui contribuiscono alla condivisione delle conoscenze istituzionali, il modo in cui si integrano con gli altri membri del team e la probabilità che si dimettano per passare ad altre aziende?

Sotto questo aspetto, il tempo di inserimento può  rivelarsi una metrica ingannevole. Certo, magari il nuovo venditore eccellerà nel suo ruolo già dopo sette o otto mesi. Ma quella persona prevede di restare a lungo termine con la tua organizzazione?

Una nuova dipendente che cerca di visualizzare il proprio futuro.

Appare chiaro che abbiamo bisogno di una definizione più ampia e realistica del concetto di onboarding.

Innanzitutto, ci sono le competenze e le informazioni grezze di cui un neoassunto ha bisogno per svolgere efficacemente il proprio lavoro. Gli occorre una formazione sui prodotti, un’introduzione all’ecosistema del software e una chiara comprensione delle sue responsabilità e del flusso di lavoro.

Ma esiste anche  un altro aspetto dell’onboarding e della formazione. Bisogna aiutare i dipendenti a creare legami sociali con gli altri membri del team. Occorre farli sentire psicologicamente sicuri e valorizzati, in modo che possano dare un contributo a una cultura dell’innovazione. E, cosa ancora più importante, è necessario far  capire loro quali aspetti l’organizzazione apprezza, in modo che possano immaginare un futuro in cui saranno presenti. Questi fattori non hanno lo stesso peso empirico del “tempo di avviamento delle vendite” o del “raggiungimento degli obiettivi”, ma hanno un impatto su fattori come la soddisfazione sul lavoro e la retention. E la retention, come abbiamo dimostrato, spesso influenza enormemente i profitti.

Improving ramp time and retention through stellar onboarding

Ecco un elenco di alcune buone pratiche che ti risulteranno utili:

  1. Inizia immediatamente. Non c’è mai una seconda occasione per una prima impressione.  Quindi, se un nuovo assunto vive un primo giorno o una prima settimana mediocri, può trarne un’impressione generale negativa, che sarà difficile da correggere a posteriori. Fai in modo che i neoassunti forniscano fin dai primissimi giorni (e poi frequentemente) un feedback al loro manager e assicurati  che abbiano accesso ai contenuti giusti, per  prepararli al successo.
  2. Divulga la formazione e collegala strettamente al tuo brand. C’è un motivo per cui strumenti come Gong sono così efficaci per la formazione alle vendite: consentono ai nuovi venditori di ascoltare chiamate e interazioni reali, aiutandoli a sviluppare le loro competenze e ad approfondire la comprensione, senza rischiare nulla. Inoltre li aiuta a fare la conoscenza di altri colleghi. Se vuoi fare un ulteriore passo avanti, investi nel social learning, che insegna nuove competenze, costruisce connessioni sociali e consente alle PMI e ai best performer di condividere le loro competenze con il resto dell’organizzazione.
  3. La gestione conta! Una ricerca di Gallup suggerisce che il 70% delle variazioni nell’engagement dei team è attribuibile al loro manager. I manager più validi non riducono l’onboarding a una lista di voci da spuntare: rafforzano la cultura e i valori aziendali, mettono in contatto i nuovi dipendenti con gli altri membri del team e danno un contributo per individuare i modi migliori  per l’organizzazione  di sfruttare le competenze individuali del nuovo assunto. Ovviamente, non si nasce ottimi manager, ma lo si diventa: perciò fai in modo che queste figure ricevano una buona formazione su come inserire in azienda i nuovi membri del loro team.
  4. Non ignorare il “reboarding”, ovvero l’onboarding richiesto da chi è già dipendente dell’azienda quando viene spostato in un team o in un ruolo diverso. Saltare questo passaggio può avere effetti disastrosi: non c’è niente di peggio che togliere una persona di talento dal suo settore e assegnarle un nuovo ruolo senza fornirle gli strumenti per riuscire a farsi valere. Non solo va persa la sua produttività superiore alla media, ma si rischia di indurre a fuggire dall’azienda una delle risorse più preziose. Questo è il motivo per cui è così importante avere una cultura della formazione “sempre attiva”. 
  5. Raccogli dati e feedback sui neoassunti (e usali per migliorare). Per valutare l’impatto dei tuoi programmi di onboarding e di formazione, puoi misurare il tempo  necessario per completare l’inserimento, la conoscenza del prodotto, le  performance, la produttività e altro ancora. E non trascurare nemmeno i dati qualitativi: chiedi ai nuovi membri del team di valutare la loro esperienza di onboarding e come si trovano nel processo di adattamento alla cultura aziendale. Strumenti come Docebo Learning Impact possono fornire un modo efficace per raccogliere e analizzare questi dati qualitativi e misurare l’impatto dei programmi di formazione, comprese le singole fasi del processo di onboarding.

Onboarding, inserimento, retention, successo

Il tuo programma di onboarding dovrebbe essere il fiore all’occhiello del tuo piano  di formazione. Del resto, l’onboarding è uno dei pochi processi dell’organizzazione con cui ogni singolo dipendente interagisce.

L’onboarding è tanto importante quanto  complesso: questo è ovvio. Ecco perché è fondamentale utilizzare un LMS di prim’ordine. Un ottimo LMS può contribuire con i contenuti di cui i nuovi assunti hanno bisogno. Può farli entrare in sintonia con il loro team e  ti permette di valorizzare gli esperti della tua organizzazione. E può integrarsi nel flusso di lavoro e nei sistemi che già utilizzi. Ma la vera magia è questa: un ottimo LMS può darti i dati di cui hai bisogno per dare un senso a tutta questa complessità. Può mostrarti quali corsi hanno il maggiore impatto sul tempo di inserimento e sulla retention. Può mostrarti quali sono gli utenti che producono i contenuti più utili. E può offrire una formazione personalizzata a tutti gli utenti, in modo che possano sfruttare un’esperienza  formativa su misura, creata appositamente per loro, fin dal primissimo giorno.

Investire nell’onboarding significa ridurre i tempi di inserimento, migliorare la retention e far crescere il tuo personale e il tuo business. Allora… cosa stai aspettando? Prova l’LMS #1